Unity in diversity: languages for mobility, jobs and active citizenship
“Signore e signori,
che questa conferenza sull’unità nella diversità europea si tenga qui a Vilnius in occasione della giornata delle lingue, è una felice coincidenza carica di significato.
La Lituania è il centro geografico dell’Europa e possiamo dire che proprio nella sua lingua si riassume l’avventura linguistica europea. Tutti sappiamo infatti quanto la lingua lituana sia vicina alla protolingua indoeuropea delle origini e come nelle sue tanto antiche quanto ermetiche parole si trovino le radici di tutte quelle che fanno le nostre lingue. Se una così piccola lingua ha resistito al tempo e alla storia conservandosi quasi intatta per secoli, malgrado invasioni e oppressioni, è merito della gente che la parla e che ci offre oggi la testimonianza di una tradizione inestinguibile. Ha detto Joseph De Maistre che ogni lingua ripete i fenomeni spirituali che si operarono alle origini, e più una lingua è antica più questi fenomeni sono appariscenti. Il lituano è una lingua di poesia come lo erano tutte le nostre nel tempo in cui erano ancora capaci di parlare con il divino. Fuori dalle correnti del potere da cui sono state catturate altre lingue europee, resistendo alla razionalità dei tempi moderni in nome della poesia, il lituano ha conservato la liricità del pensiero elevato, distaccato dall’angustia del contingente e più capace di parlare oltre il proprio tempo. Altri oratori più eruditi di me hanno approfondito questi aspetti più propriamente linguistici nel corso di questa conferenza. Nondimeno, mi piace osservare quanto lo
spirito di conservazione del lituano sia un istinto positivo condiviso dalle tante culture e lingue che oggi fanno la nostra ricchezza. E da italiano non posso esimermi dal ricordare la curiosa leggenda che vuole che i lituani siano discendenti dei soldati di Giulio Cesare. Una leggenda nutrita dalle antiche somiglianze fra lituano e latino che derivano dalle loro comuni origini e di nuovo sono da attribuire alla sconfinata capacità di conservazione del popolo lituano. Una leggenda che nel XVI fu talmente popolare che qualcuno propose addirittura di introdurre il latino come lingua scritta in Lituania. Chissà, se fosse andata a quel modo oggi qui staremmo parlando latino! Nondimeno credo che conservare il lituano sia stata una più ammirevole impresa. Cui noi italiani abbiamo dato qualche piccolo contributo. Un grande linguista italiano, Giacomo Devoto, nella prefazione della sua Storia delle letterature baltiche pubblicata nel 1957, quando i paesi baltici sembravano scomparsi dalla storia, ebbe la lucidità di scrivere: “Al di fuori delle lotte politiche e dei regimi economici, i popoli non muoiono. A tutti gli uomini di lettere, in patria e in esilio, a tutti i loro concittadini, queste pagine portano una parola di solidarietà”. Una solidarietà che alla fine ha avuto i suoi effetti, se oggi possiamo ritrovarci qui, in un’Europa infine riunita e pacificata.
La Lituania celebra oggi, assieme ad altri nove stati un decennio di adesione all’Unione europea. Dieci anni che hanno consolidato l’appartenenza europea di una parte a lungo dimenticata del nostro continente e che hanno permesso il rifluire di idee e scambi fra le nostre culture. Per alcuni dei popoli europei che sono entrati nell’Unione con l’allargamento del 2004, una delle cose che l’adesione ha tratto definitivamente in salvo è proprio la lingua. Non dobbiamo dimenticare infatti che la lingua è al centro dei trattati europei. In essi ogni paese viene riconosciuto come membro innanzitutto attraverso l’espressione della sua lingua ufficiale.
L’Europa è quindi fin dall’inizio un progetto politico di popoli che sanciscono la loro diversità linguistica e culturale come un fondamento distintivo ma che in essa riconoscono una matrice di unità. Questo riconoscimento politico che l’Unione europea conferisce alle lingue di tanti popoli rimasti intrappolati negli strascichi della Seconda guerra mondiale ha ridato fiato a culture a lungo soffocate, ha rilanciato l’editoria e la traduzione di opere rimaste sconosciute per decenni, ha riaperto le porte delle accademie, rilanciato l’interesse per la ricerca linguistica e ridato consapevolezza identitaria a lingue soffocate dall’oppressione. L’adesione all’Unione europea in tutti i nostri paesi ha comportato un aumento delle necessità di traduzione e ha parallelamente dato maggiore spessore a tutte le nostre lingue. Più una lingua è tradotta, più si fa conoscere nel mondo. Più traduce, più conosce il mondo. La traduzione è sempre stato uno strumento di dialogo fra le culture europee ma da quando esiste l’Unione europea essa ha assunto anche un ruolo politico. L’ufficialità delle nostre lingue in ambito europeo ha in qualche modo istituzionalizzato il loro dialogo, ha reso universale la nuova concettualità scaturita dall’inedita esperienza politica europea, ha creato un’orizzontalità di contenuti che impercettibilmente contamina il nostro comune sentire e lo rende più consistente. Di fatto, se le nostre lingue continuano a essere diverse, sempre di più esse ricalcano parallelamente un’unità di intenti e di significati.
Le nostre istituzioni sono sempre state ben consapevoli della grande importanza che rivestono le lingue per lo sviluppo di un’autentica cittadinanza europea. E’ in questa prospettiva che la Commissione europea si è data una politica per il multilinguismo. Con i suoi diversi strumenti, finanzia progetti educativi e formativi di vario genere, integrando le politiche degli Stati membri in uno spirito di dialogo interculturale e di integrazione.
Nella nuova Europa liberata lo studio delle lingue si sta diffondendo sempre più assieme alla domanda di maggiore varietà di insegnamento linguistico. Conoscere le lingue apre nuove possibilità di lavoro, non solo perché offre maggiori sbocchi grazie ad una maggiore mobilità, ma anche perché le lingue di per sé sono un mercato. Il multilinguismo non è soltanto diffusione delle conoscenze linguistiche, ma anche sviluppo di competenze professionali nel campo delle lingue e nuova opportunità economica.
Per questo alla Direzione generale Interpretazione siamo da sempre impegnati nella formazione di interpreti, professionisti indispensabili per il funzionamento della grande macchina delle istituzioni europee dove ogni giorno si tengono centinaia di riunioni fra delegati di tutti i nostri paesi. La Commissione europea è il più grande servizio di interpretazione al mondo. Dà lavoro a 550 funzionari e a 400 free-lance ogni giorno dei quasi 3000 che ha accreditato per soddisfare i bisogni delle discussioni e dei negoziati in cui delegati di tutta Europa si incontrano per un totale di 12.000 riunioni l’anno.
In effetti, così come per il cittadino europeo dovrebbe ormai diventare un dovere civico essere in grado di esprimersi in almeno un’altra lingua, allo stesso modo resta un suo diritto inalienabile il potersi esprimere nella propria lingua madre nell’ambito delle istituzioni europee che per la loro natura e per la loro missione appartengono a tutti i nostri popoli.
In questi cinquant’anni, diverse generazioni di interpreti si sono succedute nelle nostre cabine. Un servizio che all’inizio lavorava in quattro lingue, oggi ne usa ventiquattro, con una moltiplicazione incessante delle riunioni derivante dalla crescita dell’Unione e del campo di attività delle sue istituzioni. Gli interpreti sono forse i pionieri della costruzione europea, non solo per il fondamentale ruolo di mediazione che da sempre svolgono nelle nostre istituzioni, ma anche per la loro formazione e per la loro esperienza di vita. Sempre a cavallo di lingue e culture diverse, gli interpreti sono forse quelli di noi più consapevoli della forza della nostra varietà linguistica e culturale e anche della comune corrente sotterranea che la nutre.
L’assoluta parità linguistica che l’Unione europea si è voluta dare non ha precedenti nella storia ed è unica fra le organizzazioni internazionali. In nessun’altra infatti esiste un multilinguismo così assoluto. Le ragioni di questo fatto vanno ricercate nella natura stessa dell’Unione europea che, come afferma la Corte di Giustizia, rappresenta “…un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, un ordinamento che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati, ma anche i loro cittadini”. Mentre le altre organizzazioni internazionali agiscono esclusivamente a livello intergovernativo, l’Unione europea assume decisioni di carattere legislativo che incidono direttamente sui cittadini ed è per questo motivo che tutta la legislazione adottata dall’Unione deve essere disponibile in tutte le lingue ufficiali e che ogni cittadino deve potersi rivolgere nella propria lingua alle istituzioni europee. Non sarebbe ammissibile che i cittadini si trovassero ad essere titolari di diritti e doveri espressi in una lingua diversa dalla propria e costretti a parlare una lingua imposta per esercitarli. Per questo motivo tutte le lingue dell’Unione sono ufficiali e hanno lo stesso valore giuridico.
La lingua nell’Unione europea non è dunque solo espressione culturale ma anche strumento di esercizio del proprio diritto. Questo è il principio che la Direzione generale Interpretazione ha seguito sviluppando in collaborazione con la Direzione Generale Giustizia un progetto per la formazione e il riconoscimento degli interpreti giurati. Il multiculturalismo, l’emigrazione esterna e la mobilità interna europea rendono sempre più frequenti situazioni in cui un cittadino è chiamato a esprimersi davanti a un tribunale che non parla la sua lingua. Per tutelare i suoi diritti e garantire un equo trattamento, è necessario l’intervento di un professionista che riunisca nelle sue competenze sia quelle giuridiche che quelle linguistiche. Così si sta sviluppando sempre più la figura professionale dell’interprete giurato. Questo è un ulteriore esempio di come le lingue siano produttrici di nuovi mestieri e la loro conoscenza sia portatrice di progresso sociale. E di come esse costituiscano la dimensione più profonda di una cittadinanza responsabile, capace di infondere autentica appartenenza e di incoraggiare quella coesione sociale, quella comunità di progetto che è il presupposto indispensabile per un’integrazione rispettosa dell’unicità di ogni individuo.
Le nuove tecnologie in questo campo aprono altre frontiere ancora. Oggi la formula dell’e-learning si presta particolarmente allo studio delle lingue e dà nuove prospettive a lingue di piccole comunità che ritrovandosi su internet possono coltivare la loro lingua e la loro cultura ed anche attirare nuovo interesse. Il sapere linguistico acquisisce nuove forme e nuovi metodi di insegnamento servono anche le necessità suscitate dalla nuova dimensione del dialogo interculturale. Un’Europa che diventa terra d’accoglienza di migranti venuti da ogni parte del mondo non può chiudersi alle loro culture ma deve con esse instaurare un dialogo che necessariamente si fa anche attraverso la condivisione delle conoscenze linguistiche. Sempre più, grazie alla diffusione delle lingue, la cultura diventa il terreno in cui si gioca l’influenza e anche nuovo campo di attività economica. E noi che siamo portatori di una varietà culturale immensa, noi che siamo i custodi di giacimenti culturali che hanno fatto la storia del mondo, dobbiamo essere in grado di valorizzarla e di farne un polo di attrazione ma anche una vetrina del nostro modello di civiltà.
Oggi la costruzione europea è a una svolta. La crisi economica e finanziaria ha messo in luce le debolezze di un’unione a metà e ci ha aperto gli occhi sulla necessità di adeguare il nostro progetto politico alle nuove sfide della modernità. Oggi un rafforzamento dell’unione politica è possibile anche grazie alla più grande consapevolezza delle nostre società che nella comune difficoltà vedono più chiaramente la loro comunità di destino. Gli europei conoscono meglio l’Europa, si rendono maggiormente conto che solo insieme possiamo avere un futuro e un peso nel mondo. Dobbiamo adottare un nuovo passo, mollare gli ormeggi e abbandonare le reticenze. Maggiore unità non vuol dire diluizione delle nostre diversità. Al contrario, approfondendo la nostra conoscenza reciproca daremo un nuovo respiro alle nostre culture, nuovi orizzonti per la loro espansione, maggiore riconoscimento del loro valore. È questo il momento più opportuno per mettere in pratica la forza della nostra diversità, per farla uscire dal mare protetto della semplice protezione e alzare le vele verso il largo. Dobbiamo avere il coraggio e l’orgoglio dell’assoluta originalità del progetto europeo e della tranquilla rivoluzione che esso rappresenta nella storia dell’umanità.
In fin dei conti, l’esempio da seguire è proprio espresso qui, nell’anello di paesi piccoli ma antichi che si affacciano al Baltico e che sulla carta sembrano così fragilmente esposti alla massa di potenze che hanno attorno. La forza che ha consentito loro di conservare intatta la loro lingua e la loro cultura è stata proprio la più improbabile, la più inattesa: non la chiusura ma l’apertura. L’apertura al cambiamento, al confronto, la capacità di guardare lontano con la consapevolezza delle proprie origini, la disponibilità ad accettare l’altro proprio come modo per non lasciarsene sopraffare. Un’idea che esprime molto bene il poeta lituano Justinas Marcinkevičius quando scrive:
Coi borghi e i fiumi,
le città e i laghi,
coi nomi mi rendo visibile.
Come un vocabolario Fisso alla lettera L,
così aperto sono io.
Un’immagine di tranquillità e di forza, da cui emana tutta la potente serenità di un uomo che si sente parte di una comunità solidale, padrone della propria cultura, della propria tradizione e soprattutto della propria lingua. Con il vocabolario aperto alla lettera L della sua Lituania, in segno di sfida, di orgoglio ma anche di accettazione della diversità e della varietà delle tante lettere di cui è fatto il parlare umano, Justinas Marcinkevičius va incontro al vasto mondo. Lo stesso dovremmo fare noi nella costruzione del nostro progetto europeo, aperti come il vocabolario delle nostre ventiquattro lingue alla lettera E, che è per noi tutti l’iniziale di Europa.”
EUROPEAN COMMISSION DIRECTORATE GENERAL FOR INTERPRETATION
Speech by Director General Marco Benedetti
EUROPEAN DAY OF LANGUAGES 2013 VILNIUS, 25-26 September 2013.
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